Il design italiano, sin dal secondo dopoguerra, è sempre stato uno dei motori più importanti del boom economico. Oggi, nel pieno di una transizione ecologica e digitale (peraltro accelerata dalla pandemia da Covid-19), il design italiano è chiamato nuovamente a dare il suo contributo alla ripresa, adattandosi alle sfide che il futuro impone, dalla metamorfosi della mobilità verso modelli condivisi, interconnessi ed elettrici, ai processi di decarbonizzazione e dell’economia circolare che stanno cambiando l’industria e le relazioni di filiera, fino ad arrivare ai prodotti che, in un contesto di risorse sempre più scarse, dovranno necessariamente essere riprogettati per diventare più durevoli, riparabili, ricondizionabili e riutilizzabili.

Sono questi i temi toccati dalla ricerca quanti-qualitativa sul settore del design “Design Economy”, che ogni anno Fondazione Symbola, Deloitte Private e Polidesign realizzano in collaborazione con ADI- Associazione per il Disegno Industriale, Logotel, CUID, Comieco e AlmaLaurea.

Secondo i dati evidenziati dalla ricerca di quest’anno, il settore del design conta ad oggi 30mila imprese, che hanno generato nel 2020 un valore aggiunto pari a 2,5miliardi di Euro con 61mila occupati. Le imprese si distribuiscono su tutto il territorio nazionale, con una particolare concentrazione nelle aree di specializzazione del Made in Italy e nelle regioni Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto, dove si localizza il 60% delle imprese. Tra le province, primeggiano Milano (15% imprese e 18% valore aggiunto nazionale) Roma (6,7% e 5,3%) e Torino (5% e 7,8%).

Dall’analisi emerge un aspetto significativo e caratteristico esclusivamente del design italiano, ovvero il rapporto diretto con la committenza: la stragrande maggioranza degli intervistati – ben l’86% –  dichiara di interagire direttamente con gli imprenditori e i vertici aziendali.

Per quanto riguarda i servizi richiesti, le imprese dichiarano di fornire soprattutto consulenze su aspetti stilistici (il 58%) e processuali (il 25%); mentre le consulenze di carattere strategico rappresentano il 10%. A questi servizi core, le imprese del design stanno affiancando nuove attività di consulenza, come la comunicazione (nel 59% dei casi), il branding (52%), il marketing (46%), la R&S (44,3%) e il packaging (32,9%). In particolare, è significativo il dato che mette in evidenza la tendenza del packaging design ad orientarsi sempre più verso materiali sostenibili, il più utilizzati dei quali sono carta e cartone, scelto dal 30% delle imprese che progettano packaging.

Ed è proprio alla sostenibilità che il rapporto Design Economy 2022 dedica un intero capitolo. Sul fronte delle competenze, il 55,1% delle imprese di design dichiara di possedere una competenza di “medio” livello sulla sostenibilità e di “alto” livello nel 33,9% dei casi; specularmente, poco più dell’11% ritiene di avere un livello di competenza “basso” o quasi nullo. Considerando i servizi attualmente offerti, il 57,6% degli intervistati si occupa di design per la durabilità, ossia di progettare il prodotto o le sue modalità di utilizzo in modo tale da migliorarne la manutenibilità, la durata fisica e quella emozionale, mentre il 43,4% progetta prodotti che riducono al minimo l’impiego di materia ed energia e la produzione di scarti (design per la riduzione). Nel 34% dei casi, gli intervistati progettano prodotti per facilitare il processo di riciclo (riduzione della quantità dei materiali impiegati, utilizzo di mono-materiali, impiego di materiali facilmente riciclabili e di materiali rigenerati, facilità nella separazione dei materiali). Il 31,4% offre servizi legati al design per la riparabilità ed il 13,3% al design per il disassemblaggio; nel primo caso, gli intervistati lavorano in maniera tale da permettere la sostituzione di componenti o l’aggiornamento delle loro funzioni, nel secondo, puntano a progettare prodotti utilizzando sistemi di connessione riversibili, funzionali alla separazione di tutti le componenti per le diverse tipologie di materiali al fine di favorire il processo di recupero e riciclo. Il 10,7% si occupa del design strategico per la sostenibilità (funzionale alla creazione di framework, KPI e tool per la sostenibilità ambientale) e, infine, il 5,5% si occupa di design per la rigenerazione (funzionale alla rifabbricazione di prodotti con la stessa o diversa funzione d’uso, o alla progettazione di prodotti modulari per favorire il riutilizzo di parti del prodotto).

Tra i settori che trainano la domanda di servizi di design sostenibile ci sono soprattutto i settori del Made in Italy. A primeggiare c’è il settore arredo (69%), seguito dall’automotive (56%), dall’immobiliare – ceramiche, pavimenti, fino agli elementi strutturali – (38%), dall’abbigliamento (30%) e dall’agroalimentare (13,3%).

Il terzo capitolo del report, come ogni anno, tratta il sistema formativo a partire da banche dati fornite dal Ministero dell’Istruzione. I corsi formativi universitari dedicati al design sono 291, distribuiti in vari livelli formativi e in diverse aree di specializzazione. Si raggiungono punte di eccellenza con il Politecnico di Milano, a condurre la classifica per numero di laureati, che si conferma un’eccellenza in ambito internazionale, posizionandosi primo nei Paesi UE e quinto nel mondo secondo la classifica QS World University Rankings by Subject per il design, ma prima, comunque, fra le università pubbliche. A seguire, mantengono un importante ruolo per la formazione del designer l’Istituto Europeo di Design (IED) e la Nuova Accademia di Belle Arti (NABA). Complessivamente, i designer formati nel 2019 sono 9.362 (il 13,5% in più rispetto al 2018); di questi, due terzi risiedono al Nord, in particolare in Lombardia (49,8%).

Da quest’anno, grazie alla collaborazione con AlmaLaurea e il Career Service del Politecnico di Milano, si è aggiunto un ulteriore tassello informativo relativo alla situazione lavorativa a cinque anni dalla laurea e a cinque anni dal primo rapporto sul design. La prima stima del tasso di occupazione dei laureati magistrali biennali in design, intervistati nel 2020 a cinque anni dal titolo, restituisce un valore del 91%, superiore alla media del complesso dei laureati magistrali biennali in Italia; di questi, l’84% svolge una professione coerente con l’ambito del design.

In conclusione, i dati e le analisi presentate nel report raccontano di un settore che ha punti di forza nel sistema di attori in campo, nella presenza capillare sul territorio, nel ricco sistema formativo, ma raccontano anche fragilità e nuovi bisogni, quali, ad esempio, quelli di aggiornare e rendere più efficaci e adeguati gli strumenti del design alle nuove sfide. Il settore è infatti chiamato ad accompagnare le imprese italiane ad ampliare la prospettiva dal cliente alle comunità, ai territori all’ambiente, con implicazioni profonde nelle decisioni imprenditoriali: dalla scelta dei materiali, fino alla ridefinizione delle supply chain.