La Ricerca e Sviluppo (R&S) gioca un ruolo cruciale nel ridefinire il panorama tecnologico e organizzativo delle imprese, generando effetti positivi duraturi sulla loro performance economica e produttività. È anche per questa ragione che le agevolazioni nel settore della R&S sono fondamentali per raggiungere un livello di investimento socialmente auspicabile, che altrimenti non sarebbe realizzato, oltre al fatto che le imprese innovative spesso non riescono a beneficiare appieno dei risultati della ricerca, generando un rendimento privato inferiore a quello sociale, o perché incontrano difficoltà nell’ottenere finanziamenti bancari o ricorrere ai mercati dei capitali.
Secondo un’analisi condotta dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat) pubblicata lo scorso 20 settembre, in Italia, nel periodo compreso tra il 2014 e il 2020, la quota di investimenti lordi destinata alla R&S è aumentata dal 4,5% al 5,2%, riducendo la distanza rispetto alla media dell’Unione Europea, che nel medesimo lasso di tempo è scesa dal 7,1% al 7%.
L’analisi dell’Istat è stata condotta su un campione di circa 900.000 imprese, in gran parte microimprese (con fino a 9 dipendenti) e piccole imprese (con 10-49 dipendenti), e con esclusione delle imprese agricole, finanziarie, sanitarie, educative e quelle con fatturato negativo o nullo o di recente costituzione.
L’analisi ha anche esaminato gli effetti dei principali incentivi fiscali a favore della R&S introdotti a partire dal 2015: il credito d’imposta per la R&S e il Patent Box, misure che nel corso degli anni hanno subito diverse modifiche normative.
Ad esempio, il credito d’imposta per la R&S è stato inizialmente basato sull’incremento della spesa in R&S fino al 2019 e poi sulla spesa totale a partire dal 2020, mentre il Patent Box è stato completamente rivisto a partire dal 2021. In particolare, il regime del Patent Box introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 escludeva parzialmente dalla tassazione ai fini IRES e IRAP i redditi derivanti da beni immateriali qualificabili, previa sottoscrizione – in origine obbligatoria, poi resa facoltativa con il Decreto “Crescita” del 2019 – di un accordo con l’Agenzia delle Entrate. Le modifiche introdotte a decorrere dal 2021 prevedono, in sostituzione della parziale detassazione, un recupero fiscale dei costi di R&S sostenuti retroattivamente in periodi precedenti (sino a 8 esercizi) dal momento in cui il bene immateriale ottiene il titolo di privativa e si qualifica per l’agevolazione; il tutto in regime di autoliquidazione e senza accordo preventivo con l’Agenzia delle Entrate. Diversamente dal credito d’imposta, quindi, il Patent Box premia le imprese che hanno avuto un effettivo successo nella loro attività di R&S.
In generale, l’introduzione di queste misure ha comportato un risparmio d’impresa salito dall’0,04% del PIL nel 2015 all’0,28% nel 2019, per poi scendere all’0,18% nel 2020.
L’Istat segnala un ulteriore beneficio: la significativa riduzione dei costi dell’investimento in R&S all’interno delle imprese, che ha raggiunto il 19% nel 2019 sotto il vecchio regime ed è salita al 24% dal 2023.
Sebbene i dati preliminari per l’anno 2022 indichino un peggioramento della spesa in R&S delle imprese (-2,9% rispetto al 2021), si stima una ripresa per il 2023, quando i valori di spesa potrebbero portarsi a livelli superiori, raggiungendo il valore di circa 16 miliardi di euro (+5,2% rispetto al 2022).