L’ambito normativo

I vegetali, e più nello specifico le varietà vegetali, vengono sempre più impiegati nei settori più disparati, dai prodotti alimentari, a quelli per la cura del corpo, dall’abbigliamento alle biotecnologie. Anche in tale ambito, come per altri settori industriali, si è dunque fatta strada l’esigenza di tutelare diritti di proprietà industriale.

A tale scopo, all’inizio degli anni Sessanta è nata la Convenzione UPOV per la protezione delle novità vegetali, i cui Stati contraenti si sono impegnati a riconoscere alle varietà vegetali una tutela sui generis per mezzo del rilascio di un titolo di privativa.

L’Italia aderì all’UPOV nel 1977, dotandosi di un apparato di norme appositamente dedicato alla tutela delle varietà vegetali. A livello europeo, invece, è del 1994 il Regolamento CE 2100/94 che, istituendo l’Ufficio Comunitario delle Varietà Vegetali (UCVV), ha previsto un regime di tutela esteso a tutto il territorio della Comunità Europea, per poi approdare nel 2005 all’UPOV, aderendovi come Unione Europea.

In Italia sono gli articoli da 100 a 116 del del D.lgs. 30/ 2005 (“Codice della Proprietà Industriale” o “c.p.i.”) a disciplinare i diritti di privativa sulle nuove varietà vegetali. In particolare, al momento della creazione o della scoperta di una varietà vegetale da parte del suo costitutore, quest’ultimo può cercare di proteggerla e di acquisire i diritti di sfruttamento in esclusiva inoltrando domanda presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) o presso UCVV, a seconda che egli voglia acquisire tali diritti solo sul territorio italiano oppure in quello comunitario.

Le varietà vegetali

In primo luogo, l’art. 100 c.p.i. e l’art. 5, Reg. CE 2100/94 definiscono una “varietà vegetale” come un insieme di vegetali nell’ambito di un unico “taxon botanico” del più basso grado conosciuto, il quale possa essere: (i) definito mediante l’espressione delle caratteristiche risultante da un dato genotipo o da una data combinazione di genotipi; (ii) distinto da qualsiasi altro insieme vegetale mediante l’espressione di almeno una delle suddette caratteristiche e; (iii) considerato come un’unità in relazione alla sua idoneità a moltiplicarsi invariato.

Una varietà vegetale è quindi la più piccola delle unità sistematiche del regno vegetale, che la classificazione tassonomica classica suddivide in unità via via più piccole, partendo dal tipo (o divisione), e proseguendo poi con la classe, la famiglia, il genere e la specie. E di quest’ultima, la varietà rappresenta l’unità ausiliaria, cioè un sottotipo.

L’art. 45, comma 4, lett. b), c.p.i., esclude la brevettabilità delle varietà vegetali intese come prodotto, nonché i procedimenti essenzialmente biologici (cioè, dovuti a fenomeni naturali, come l’incrocio o la selezione) di produzione di nuove varietà vegetali. Da ciò consegue che sia brevettabile ogni procedimento di natura tecnica e che porti ad una modifica genetica vegetale.

Requisiti di tutela

La varietà vegetale, per poter essere tutelabile, deve essere: (i) nuova; (ii) distinta; (iii) omogenea; (iv) stabile.

Novità (art. 103 c.p.i.)

La novità richiede che, alla data del deposito della domanda della varietà, non deve essere già stato oggetto di commercializzazione da parte del costitutore o di suoi aventi causa, il materiale di riproduzione o di moltiplicazione vegetativa o di un prodotto di raccolta della varietà.

Tuttavia, la precedente commercializzazione è considerata distruttiva della novità solo se avvenuta anteriormente al termine di grazia di un anno, nel caso di commercializzazione sul territorio italiano, o di quattro anni (che aumenta a sei anni per le viti), in caso di commercializzazione al di fuori dello stesso.

Distinzione (art. 104 c.p.i.)

La varietà tutelabile deve altresì contraddistinguersi in maniera netta da ogni altra varietà conosciuta alla data di deposito della domanda di privativa, cioè da un’altra varietà per cui sia stata depositata, in qualsiasi paese del mondo, una domanda di privativa o di iscrizione in un registro ufficiale, purché tale domanda abbia poi l’effetto di conferire la privativa o l’iscrizione nel registro ufficiale delle varietà, o che sia comunque presente in collezioni pubbliche.

Omogeneità (art. 105 c.p.i.)

La varietà deve essere sufficientemente uniforme nei suoi caratteri pertinenti e rilevanti ai fini della protezione, fatta salvo, ovviamente, la variazione prevedibile in conseguenza delle particolarità attinenti alla sua riproduzione sessuata e alla sua moltiplicazione vegetativa.

Stabilità (art. 106 c.p.i.)

I caratteri pertinenti e rilevanti della varietà, ai fini della protezione, devono rimanere invariati in seguito alle successive riproduzioni e moltiplicazioni o, in caso di un particolare ciclo di riproduzione o moltiplicazione, alla fine del ciclo.

Contenuto, effetti e limiti della tutela

Quanto al contenuto della tutela, l’art. 107 c.p.i. stabilisce che la privativa varietale conferisce al costitutore un diritto esclusivo sui seguenti atti compiuti in relazione al materiale di riproduzione o di moltiplicazione della medesima varietà protetta: (i) produzione e riproduzione; (ii) condizionamento a scopo di riproduzione o moltiplicazione; (iii) offerta in vendita, vendita o qualsiasi altra forma di commercializzazione; (iv) esportazione o importazione; (v) detenzione per uno di tali fini.

La tutela in questione, peraltro, non si estende solo al prodotto della raccolta (misura efficace nel caso in cui il costitutore non abbia potuto ragionevolmente esercitare il proprio diritto in relazione al materiale di riproduzione o moltiplicazione), ma anche alle varietà essenzialmente derivate da quella protetta o che non si distinguono nettamente da quest’ultima, nonché alle varietà la cui riproduzione necessita del ripetuto impiego della varietà protetta.

Al fine di bilanciare il diritto di tutela concesso al costitutore di nuove varietà vegetali con quello di altri breeders di portare avanti la ricerca e la sperimentazione in campo agricolo, sia la normativa nazionale che quella europea hanno introdotto alcuni limiti al diritto di esclusiva concesso al costitutore di nuove varietà vegetali, tra le quali le c.d. “utilizzazioni libere” in ambito privato e a scopi non commerciali o a titolo sperimentale.

Altro limite all’esclusiva concessa al costitutore è rappresentato dalle licenze obbligatorie. Ai sensi dell’art. 115 c.p.i., infatti, il diritto del costitutore può formare oggetto di licenze obbligatorie “non esclusive” – concesse con decreto ministeriale e mediante il pagamento di un equo compenso al titolare del diritto di privativa – per motivi di interesse pubblico, quali l’alimentazione umana o del bestiame, gli per usi terapeutici e la produzione di medicinali.

Durata della tutela

Ai sensi dell’art. 109 c.p.i., il diritto del costitutore della varietà vegetale dura venti anni a decorrere dalla data di concessione ovvero, in caso di privativa comunitaria, venticinque anni. Per gli alberi e le viti, tale termine è esteso a trenta anni, sia per la privativa italiana che per quella comunitaria.

Tuttavia, sebbene la durata della privativa varietale decorra dalla concessione della stessa, la tutela opera fin dal momento in cui la domanda viene resa accessibile al pubblico o comunque nei confronti dei soggetti cui la stessa è stata notificata. Ciò per permettere al costitutore di recuperare in qualche modo il lasso di tempo, spesso molto lungo, che normalmente intercorre tra il deposito della domanda e la concessione del diritto, a causa della complessità del procedimento amministrativo e dell’esame tecnico.

Denominazione della varietà

Ogni nuova varietà deve avere un nome, peraltro essenziale anche ai fini della commercializzazione stessa della varietà e del presupposto dell’iscrizione nel registro varietale, in modo che venga utilizzata la stessa denominazione ovunque nei Paesi aderenti alla Convenzione UPOV. Tale denominazione, peraltro, non deve poi ledere diritti di terzi o creare confusione ovvero indurre in errore circa le caratteristiche della varietà.

Riguardo al rapporto tra denominazione varietale e marchio, la legge prevede espressamente che la denominazione della varietà costituisca il suo nome generico, con ciò escludendo la possibilità per il costitutore di registrarla come marchio. È comunque previsto che, nell’ambito della commercializzazione della varietà, la denominazione generica possa essere associata ad un marchio d’impresa, purché la denominazione rimanga facilmente riconoscibile.