La definizione di “contraffazione”

La definizione di contraffazione di un brevetto non è esplicita nella normativa italiana, la quale pone invece l’accento sul diritto di esclusiva conferito al titolare di una privativa industriale e sulla violazione di tale esclusiva da parte dei terzi. Così, infatti, l’art. 66 del D.Lgs. 30/2005 (“Codice della proprietà industriale” o “c.p.i.”) fornisce indicazioni riguardo la violazione del diritto esclusivo del titolare di un brevetto a produrre, utilizzare, mettere in commercio, vendere e importare il prodotto coperto dalla privativa.

In altri termini, la contraffazione consiste nella riproduzione o nello sfruttamento di un’invenzione tutelata per legge, da parte di terzi, senza una licenza ovvero senza il consenso del titolare.

Sul punto, occorre considerare che il concetto di “sfruttamento” è stato oggetto di interpretazioni giurisprudenziali, facendo rientrare in tale concetto anche gli atti “anticipatori”, quali la mera fabbricazione del prodotto brevettato (senza commercializzazione), l’attività di promozione delle vendite del prodotto tutelato, la realizzazione di prodotti nei quali siano predisposti mezzi specificamente destinati ad attuare la privativa, ecc.

Le varie tipologie di contraffazione

La contraffazione “integrale”

In generale, per rientrare nella fattispecie della “contraffazione” è necessaria una riproduzione precisa di tutti gli elementi dell’idea inventiva come definita nelle rivendicazioni indipendenti del brevetto (c.d. “contraffazione integrale”).

La contraffazione “per equivalenti”

Nei casi più complessi dove la contraffazione non è integrale, è l’art. 52 c.p.i., al comma 3-bis, a stabilire che per determinare l’ambito della protezione conferito da un brevetto (e, quindi, la relativa contraffazione) si deve tenere conto di ogni elemento “equivalente” ad un elemento indicato nelle rivendicazioni.

A questo proposito, la giurisprudenza ha cercato di elaborare diversi metodi di giudizio per accertare un’equivalenza.

In un primo momento, i giudici hanno ritenuto applicabile il metodo “invention as a whole approach”, che considera equivalenti le realizzazioni che riproducono l’invenzione considerata nel suo complesso. Tuttavia, alla luce di una corretta interpretazione del citato art. 52, comma 3-bis, c.p.i., che fa riferimento agli elementi equivalenti a quelli indicati nelle rivendicazioni (dunque, non all’invenzione nel suo complesso), questo criterio interpretativo è stato progressivamente abbandonato dalla giurisprudenza, in favore del c.d. “triple test approach” di origine statunitense.

In base a tale principio, per ravvisarsi una contraffazione devono verificarsi tre condizioni concorrenti: (i) svolgimento della stessa funzione; (ii) utilizzo di mezzi sostanzialmente identici e (iii) medesimo risultato finale. Alla luce di ciò, nel caso in cui la sostituzione dell’elemento rivendicato con l’elemento accusato di contraffazione sia ovvia, vi è equivalenza (e, quindi, contraffazione); laddove, invece, la sostituzione dell’elemento rivendicato con l’elemento accusato di contraffazione sia “inventiva”, non vi è equivalenza (e, quindi, è esclusa la contraffazione).

Invenzioni “dipendenti” e contraffazione “evolutiva”

Un’ulteriore ipotesi di contraffazione è quella cui si riferiscono gli artt. 2587 Cod. Civ. e art. 68, comma 2, c.p.i., i quali definiscono come invenzioni dipendenti quelle che, sebbene dotate dei requisiti di brevettabilità, richiedono lo sfruttamento di un brevetto anteriore e, pertanto, il brevetto dipendente non può essere attuato o utilizzato senza il consenso del titolare del brevetto anteriore.

In caso contrario – cioè quando viene attuato o utilizzato un miglioramento, adattamento o perfezionamento di un brevetto anteriore, senza il consenso del titolare dello stesso – si parla di contraffazione “evolutiva”.

Contraffazione “indiretta”

Ultima ipotesi di contraffazione è quella c.d. “indiretta”, che si verifica quando un prodotto o procedimento brevettato non viene sfruttato direttamente dal presunto contraffattore, il quale tuttavia fornisce a soggetti terzi i mezzi necessari ad attuare la privativa.

A questo proposito, l’art. 66, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, c.p.i., prevedono che la tutela conferita dal brevetto si estende anche al diritto di vietare a terzi di fornire ad altri soggetti i mezzi relativi ad un elemento indispensabile dell’invenzione e necessari per la sua attuazione nel territorio ove la medesima sia protetta. Pertanto, si verifica un’ipotesi di contraffazione indiretta quando un terzo fornitore sia consapevole dell’idoneità e della destinazione dei mezzi attuativi dell’invenzione, oppure, nel caso in cui i mezzi in questione sono costituiti da prodotti correntemente in commercio, quanto il fornitore dei mezzi induca il soggetto a cui essi sono forniti a commettere la contraffazione.