L’Appropriation Art

Con “appropriation art” (o “arte appropriazionista”), si intende quella corrente artistica basata sulla riproduzione di immagini o, in generale, di creazioni artistiche altrui tali e quali all’originale, ma rielaborati in una nuova creazione.

Ispirandosi a generi artistici quali il dadaismo o il “ready made” sviluppato da Marcel Duchamp, l’appropriation art mette al primo posto l’idea creativa dell’artista, giudicandone meno importanti la tecnica e il virtuosismo.

Tuttavia, in tal modo la appropriation art mette in discussione il concetto stesso di diritto d’autore e di tutela autoriale dell’opera, rendendo labile il confine tra copia e originale e ponendo la questione del bilanciamento fra la tutela del diritto d’autore e la libertà di espressione artistica.

Appropriation Art e “fair use” in USA

Dando uno sguardo oltreoceano, le Corti americane sono generalmente orientate, nei loro giudizi sulle controversie riguardanti il diritto d’autore nei casi di appropriation art, a sostenere l’art. 107 del Copyright Act del 1976, cioè la norma sul c.d. “fair use”, che ammette l’uso lecito del lavoro altrui protetto da copyright, valutando caso per caso questi quattro criteri:

  • la finalità e la natura dell’utilizzo (commerciale o con finalità educativa, o non lucrativa, ecc.)
  • la natura dell’opera utilizzata
  • la quantità e l’importanza della parte dell’opera utilizzata rispetto alla sua interezza
  • le conseguenze portate dall’appropriazione sul mercato potenziale o sul valore dell’opera utilizzata

Generalmente, il fair use viene riconosciuto quando vi si può riscontrare un uso trasformativo dell’opera originaria e, cioè, quando l’opera utilizzata dall’artista appropriazionista è stata alterata al punto da trasmettere un messaggio nuovo.

Sono esplicative, a questo proposito, due controversie, dagli opposti risultati, che hanno riguardato il noto scultore e pittore americano Jeff Koons.

Nella prima di queste, l’artista era stato citato in giudizio dal fotografo Arthur Rogers per la contraffazione di una sua fotografia raffigurante una coppia di signori seduti su una panchina con in braccio quattro cuccioli di cane. L’immagine, infatti, era diventata una scultura di Koons, che l’aveva riprodotta tale e quale, senza modifiche sostanziali. In questo caso, l’artista fu condannato dal giudice americano, in quanto l’opera non venne considerata una parodia o una critica nei confronti dell’opera di Rogers, bensì una satira della società americana, che si esprimeva sotto forma di un’integrale ripresa del soggetto della fotografia, senza alcuna modifica sostanziale.

Nella seconda, un altro fotografo, Andrea Blanch, aveva accusato Koons di violazione di copyright per aver ripreso, in un proprio dipinto, una sua immagine che raffigurava due piedi incrociati con indosso dei sandali, foto realizzata in origine per un manifesto pubblicitario di Gucci. In questo caso, la Corte ha dato ragione all’artista, poiché, secondo quest’ultima, l’immagine originaria era stata ripresa in una diversa forma di rappresentazione artistica (cioè la pittura, più complessa) e in essa veniva raffigurata assieme ad altri piedi nudi o con indosso modelli di scarpe differenti. Ciò, per la Corte, bastava a definire l’opera come articolata e originale.

Appropriation Art e il concetto di parodia in Italia e in UE

La normativa italiana sul diritto d’autore, che si declina nella Legge n. 633/1941 (Legge sul Diritto d’Autore o l.d.a.), non contiene alcuna norma sulla appropriation art, a meno di non considerarla come “riproduzione parziale con scopo di critica”, tutelabile ai sensi dell’art. 70 della l.d.a., che difende le riproduzioni effettuate “per uso di critica o discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera”, e che però prescrive di indicare sempre il titolo dell’opera e il nome dell’autore.

Inoltre, se consideriamo l’art. 4 della l.d.a., questo tutela le opere c.d. “derivate”, cioè le elaborazioni creative dell’opera originaria, nelle quali vi è un riferimento sostanziale all’opera originaria, ma le variazioni apportate non sono rilevanti al punto da renderle opere autonome, nuove e originali. E in questi casi è sempre necessario il preventivo consenso dell’autore dell’opera originaria (art. 18 l.d.a.), il quale ha il diritto esclusivo di elaborazione e modifica della propria opera.

Tuttavia, il diritto comunitario ha offerto uno spunto all’interpretazione del gesto artistico appropriativo attraverso la Direttiva Europea 2001/29/CE – norma poi trasposta nel diritto italiano con la Legge 68/2003 – che consente eccezioni al diritto d’autore quando l’utilizzo avvenga a scopo di caricatura, parodia o “pastiche”. Se è così, l’arte appropriazionista viene intesa come parodia di un’opera d’arte e, pertanto, tutelabile non solo come elaborazione creativa ai sensi dell’art. 4 l.d.a., ma anche manifestazione della libertà di pensiero ai sensi degli artt. 21 e 33 della Costituzione.

In particolare, la giurisprudenza italiana, forte degli orientamenti della Corte di Giustizia Europea (si veda, tra gli altri, il caso C-201/2013), ha individuato alcune caratteristiche che rendono lecita la parodia e che è possibile applicare, per analogia, anche all’arte appropriazionista. In particolare:

  • l’opera parodistica si avvale del “dètournement”, dello scandalo e della beffa, e trasmette un messaggio originale e autonomo, diverso da quello dell’opera parodiata
  • l’opera parodistica, considerata nel suo complesso, stravolge i contenuti concettuali dell’opera parodiata con riconoscibile apporto creativo, e con finalità comiche e satiriche (ovvero tragiche e drammatiche)
  • l’opera parodistica può anche evocare l’opera originaria presentandone gli stessi elementi esteriori, purché il suo apporto creativo consista nella mutazione concettuale dell’opera parodiata

Tra i casi più importanti discussi dalla giurisprudenza italiana troviamo la controversia sorta tra la Fondation Alberto et Annette Giacometti e l’artista americano John Baldessarri, riguardo la riproduzione in scala da parte di quest’ultimo di una celebre opera di Giacometti (i.e., “La Grande Femme”), in diversi esemplari adornati con abiti e accessori di moda ed esposti come un’installazione unica denominata “Giacometti Variations”.

Investito della questione, il Tribunale di Milano ritenne che l’opera di Baldessarri fosse una citazione parodistica in chiave sarcastica, che mutava completamente il senso dell’opera originale e che, pertanto, assurgeva al ruolo di opera d’arte distinta e degna di autonoma tutela.