Anthony Levandowski, ex dirigente di Google, è stato di recente condannato a 18 mesi di carcere per furto di segreti industriali legati allo sviluppo delle tecnologie per i veicoli a guida autonoma, nel processo instaurato in California nel 2017 da Waymo (società controllata da Alphabet, proprietaria di Google).

In particolare, Waymo ha citato in giudizio Levandowski affermando che quest’ultimo avrebbe sottratto alla società migliaia di documenti, al fine di proseguire i suoi progetti sui veicoli a guida autonoma e consentire alla sua Otto – startup fondata subito dopo aver lasciato Google nel 2016 e poi acquisita da Uber per circa 700 milioni di dollari – di raggiungere rapidamente la concorrenza dal punto di vista tecnologico nell’ambito dello sviluppo di camion a guida autonoma.

In seguito alla causa intentata da Waymo, Uber ha licenziato Levandowski e ha raggiunto un accordo transattivo con Waymo, che impone alla stessa Uber, tra l’altro, il divieto di utilizzare le tecnologie di Waymo nelle proprie auto a guida autonoma.

La vicenda ruota attorno al fatto che Otto sia riuscita a produrre in breve tempo un proprio sistema di rilevamento laser basato sulla tecnologia “LiDAR” (una sorta di radar che permette all’automobile di rilevare l’ambiente e gli ostacoli che ha intorno), nonostante Uber, a detta di Waymo, fino ad agosto 2016 non aveva una tecnologia LiDAR affidabile.

Sarebbe stato dunque Levandowski, poco prima di lasciare Google, a fornire ad Otto/Uber non solo i segreti industriali di Waymo utili a costruire un circuito stampato essenziale al funzionamento del LiDAR, ma anche diverse informazioni su altre tecnologie connesse e oggetto, a propria volta, di segreti industriali di Waymo.

L’importanza cruciale dei segreti industriali sul LiDAR è data dal fatto che non ne esiste una sola versione e, pertanto, ogni produttore ha enorme interesse a creare il LiDAR migliore per rendere più accurata e sicura la propria guida autonoma. E, infatti, la divisione di Google, poi confluita in Waymo, ha impiegato anni per realizzare un LiDAR considerato oggi tra i migliori al mondo, tanto che la società conterebbe di dare in licenza la tecnologia ai produttori tradizionali di automobili.

Il caso Levandowski offre spunti molto importanti per le aziende che cercano proteggere adeguatamente i propri segreti commerciali.

In primo luogo, la protezione dei propri segreti commerciali deve passare attraverso la stipula di un accordo di riservatezza e non divulgazione con i soggetti che possono venire a conoscenza di tali segreti. A tal fine, è necessario che l’azienda adotti anche una policy per identificare e proteggere i propri segreti commerciali, in modo da rendere chiaro cosa appartiene all’azienda ed impedirne così una divulgazione anche involontaria.

In secondo luogo, è necessario che vengano adottate misure adeguate – sia fisiche (ad ed., armadi chiusi a chiave, controllo degli accessi, ecc.) che logiche (ad es., password, creazione di profili utente, monitoraggio delle attività di accesso e copia, ecc.) – per proteggere le proprie informazioni riservate da qualsiasi accesso non autorizzato, e che tali misure vengano portate a conoscenza dei dipendenti, informandoli anche del fatto che l’utilizzo e la copia dei documenti vengono monitorati.

Nel caso Levandowski, quest’ultimo punto è stato fondamentale nel processo: l’analisi forense dei dispositivi elettronici utilizzati dall’ex dirigente, infatti, ha rilevato un trasferimento di circa 14mila file dal computer ad un disco esterno, tutte informazioni fondamentali per costruire un LiDAR come quello di Waymo.